Un foglio bianco.
Nel bianco, indistinti, vivono tutti i colori.
Filtro, quinta, palcoscenico.
Emerge un colore, poi un altro, simile e poi, poco distante, il terzo somigliante.
Poi un segno, con la matita, leggero, e poi più forte e … interrotto.
Uno specchio, un arrivo.
La mano, col lungo pennello, si appoggia sulla carta, liquidamene, fino a che la forma non è compiuta.
Io, al di qua, con la mia barriera fisica, fragile e oltre l’immateriale, che vive dietro lo specchio, forse lo intravedo.
E sul foglio un nuovo, inventato codice, tentativo d’espressione di qualcosa di indagato, ricercato, multiforme e impalpabile e sempre diverso. Come creare un’unità?
Si sceglie, ma tante altre sono le soluzioni. L’armonia, l’equilibrio, la tranquillità o la pazzia o semplicemente l’inquietudine.
Sul foglio si ferma il movimento, ma può restare la tensione, l’illusione, la vibrazione.
Un rettangolo bianco e a fianco, ai margini, l’aria, gli oggetti, le correnti. Uno spazio di pausa o di riflessione, di passaggio, di lentezza, di pittura, di sofferenza o gioia e felicità (?).
Una mostra: un percorso da un foglio all’altro.
Spazi bianchi collegati.
Un ritmo, parallelo alla vita, bio-fisiologica, dei sentimenti e della pittura. Quante cose possono convivere in un ritmo, apparentemente solo visivo! E dietro?
Maria Caboni
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