Reggo il mio cuore
che s’incaverna
e schianta e rintrona
come un proiettile
nella pianura
ma non mi lascia
neanche un segno di volo.
Il mio povero cuore
sbigottito di non sapere.
Giuseppe Ungaretti
Impulsi primigeni, tumultuoso espandersi di segni, lacerano la forma esorcizzando drammi esistenziali. Stratificazioni di memorie vissute, incise d’impeto, incarnano metafore del tempo che inevitabilmente scorre. Simone Dulcis traccia irruenti percorsi di colore, violenti flussi che deflagrando irrompono tra coaguli, densi accumuli e filamenti di una materia pulsante che si rigenera. Spietatamente crudo scalfisce la superficie pittorica evocando tribali scarificazioni. Rituali iniziatici di passaggio. Cicatrici, vuoti incolmabili, individuano presenze ed evidenziano paradossalmente inquietanti assenze.
Evocatore di valori semantici ambigui, fulcro tra il silenzioso graffitismo primitivo e l’urlato alfabeto segnico metropolitano, l’artista si fa interprete di profondi disagi sociali. Sprofonda nelle voragini occulte di un’esistenza precaria, assorbito dalla tensione interiore che sviscera vibranti dinamismi e fende come lama acuminata marcando linee di confine inaccessibili. Affonda le radici nella rossa terra madre, accecato da infuocati tramonti per confluire travolgenti stati d’animo nell’acre bitume metropolitano la cui brillantezza del nero incarna tutta la solennità del jazz di Coltrane.
Da una pittura gestuale di drammatica forza espressiva, memore del pathos di Hartung e Kline, Simone Dulcis giunge talvolta ad inattese dissolvenze cromatiche, liricità quasi impalpabili, palesate da un rigagnolo che affiora o da un punto rosso che improvvisamente si accende per distinguersi da icone ancestrali. Convulse pennellate concretizzano esplosioni di dolore, raccontano pagine interrotte dalla caducità del destino. Moti dell’anima si trasfigurano in rituali, in formule magiche che evolvono in cadenzate litanie. Silenziose invocazioni, parole pronunciate con ieratica lentezza, scandiscono ritmicamente le ore del giorno. Viaggi iniziatici, aneliti di purificazione il cui potere trascendentale volge ad esiti d’intensa spiritualità, riecheggiano austeri alla luce di un mattino che nasce.
Roberta Vanali
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