Il sole, sulla sabbia, di te guerriera dormiente
Nell’oro languido si bagna delle chiome e si riscalda
Mallarmé
Intarsi, ferite e squarci, bagliori e prospettive generati dalla sovrapposizione di frammenti di tele dipinte, quasi una variante dei papiers découpés con cui Matisse associava «il disegno al colore, con uno stesso movimento». Lungo questa strada, Simona Tavassi si è liberata del disegno sia come pratica dal vero – da lei solidamente padroneggiata – sia come progettazione preventiva, per lasciarsi guidare dal crescere della composizione su se stessa, sovrapponendo strato su strato i tessuti dipinti.
Questi tasselli di colore procedono dalla declinazione in chiave contemporanea delle antiche pratiche di bottega in cui la tavolozza risultava dalla diretta macinazione delle terre, poi unite al legante oleoso. Allo stesso modo Tavassi, pittrice moderna, dispone la propria tastiera cromatica mescolando i pigmenti e le resine viniliche, e su questa ricerca gli accordi sommessi degli ocra, dei viola e degli azzurri, oppure suona drammatici accostamenti di rossi e di neri, di bianchi e di marroni.
Tale lenta sedimentazione della materia cromatica aderente alla stoffa, produce uno spazio fitto in cui anche i vuoti sono “pieni” di colore, e composizioni serrate che alludono a territori naturali, come Il mio mare. Così si osserva il digradare verso l’orizzonte solcato da una vela di colline e campi, inquadrati da un arco di pietra, dai muri di un vicolo, o dal telaio di una finestra, oppure ci si libra a volo d’uccello sulla scacchiera degli appezzamenti coltivati o davanti alle striature atmosferiche del tramonto, diventate solide come le venature del marmo.
Di fronte ad altri lavori, invece, si vaga tra paesaggi dell’anima e archetipiche condizioni esistenziali, guidati dagli echi mitologici e dalle suggestioni letterarie evocate dai titoli: è il caso di Inferno e di Paradiso. In questi casi la consistenza del cotone, della juta, del lino, a trama sottile o grossolana, grezza o preparata, graffita, impreziosita dall’oro o lasciata a vista, idealmente si ricongiunge all’universo sognante e spettrale di Klee, in cui i supporti ricercati producono involontarie sinestesie, e la superficie pittorica oscilla incessantemente tra l’illusionismo verticale dello spazio prospettico e l’opacità orizzontale del piano su cui si scrive e si lavora.
Francesca Gallo
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